LA VISIONE DEL REGISTA: IL PERCHE' DI UN CORTO MEDIEVALE di Max Bartoli

Secondo una delle recenti indagini dell’UNESCO, l’Italia possiede tra il 57% e il 61% del patrimonio artistico-archeologico esistente sulla terra e può, a tutti gli effetti, essere considerata una sorta di “scrigno del tesoro” dell’umanità.

Come molti Italiani, sono cresciuto all’ombra dei monumenti e mi sono “abituato” ad essere circondato da opere d’arte. Nonostante ciò, visitare un museo o anche soltanto camminare lungo una delle strade di Roma o di Firenze ha sempre suscitato in me sensazioni uniche, come se entrassi in una macchina del tempo e cercassi di tornare indietro. Ogni angolo, ogni viottolo è lì per raccontarti una storia, istante prezioso di un momento storico di cui oggi resta solo il ricordo.

L’idea di un cortometraggio medievale nasce - dopo le visite ad alcuni dei più bei borghi medievali d’Italia - dalla volontà di celebrare in pellicola le straordinarie bellezze del patrimonio artistico del nostro paese.

La visione che ha ispirato “Ignotus” è quella di un corto ricco di colori e simbolismi, una nuova rappresentazione dell’eterno ciclo in cui Uomo e Natura sono da sempre magicamente intrecciati, una metafora che lasci al tempo stesso la possibilità allo spettatore di fornire chiavi di lettura diverse di ciò che ha appena visto. Ma “IGNOTUS” vuole essere anche e soprattutto un tributo all’arte e alle migliaia di opere d’arte contenute nei nostri musei e cui spesso non diamo che una rapida e superficiale occhiata, dimenticandoci che esse sono la “fotografia su tela o pietra”, l’unica testimonianza del nostro lontano passato.

Con “Ignotus” voglio raccontare un brevissimo paragrafo di una lunga pagina della storia italiana. Non una di quelle che possiamo leggere nei libri, che hanno come protagonista un santo, un martire, un re o un valoroso ed eroico generale. Ma quella di un cavaliere sconosciuto un uomo come tanti, che cerca di vivere nel rispetto dei principi che gli sono stati insegnati ma che, alla fine, viene piegato e ferito dagli anni, dall’odio e dall’invidia delle persone a lui più vicine. L’Italia del XIII secolo, divisa da guerre politico-religiose, dalle crociate contro gli eretici (come i Catari e gli Albigesi), dalla comparsa della Santa Inquisizione, fa da sfondo alla sua vita.

Il corto si apre di notte, nell’Abbazia S. Pietro a Tuscania dove il nostro cavaliere ferito ad una spalla, siede con la schiena poggiata contro una colonna. Sono gli ultimi istanti della sua vita e a lui non resta che un’ultima decisione: scegliere come andare incontro alla morte. Può lasciare che i suoi inseguitori lo trovino lì, un uomo ormai finito, ferito nella carne e nello spirito, o può alzarsi in piedi, impugnare per l’ultima volta spada e scudo e affrontare il suo
destino con la dignità del cavaliere che ha sempre cercato di essere ed è sempre stato.

Nel compiere questi semplici gesti (alzarsi, raccogliere spada e scudo, ecc.) la sua mente è invasa dalle memorie dei momenti più importanti della sua esistenza, “riportati alla vita” da oggetti e suoni intorno a lui.

Diversi flashback ci raccontano la sua storia. Flashback completamente diversi l’uno dall’altro per colori, ritmo narrativo e atmosfere evocate.

L’uso del flashback ritengo si presti benissimo al mio scopo. Trattandosi di un cortometraggio ho sempre saputo, infatti, di non poter contare sugli sviluppi drammatico-narrativi di un normale film, cosa che comunque ho escluso dall’inizio volendo ridurre al minimo i dialoghi e cercare di parlare quanto più possibile per immagini, ricorrendo soprattutto a quelle dal più spiccato valore simbolico.

Nel ciclo della Natura, la Morte e la Vita si avvicendano con un ritmo costante, incomprensibile quanto magico. E l’uomo non può sottrarvisi. Ma per Lorenzo l’andare incontro al proprio destino assume un altro significato: è un breve cammino verso Dio, verso una liberazione, simboleggiata dal suo procedere verso l’altare e verso la “luce”. Come in uno dei meravigliosi dipinti di Caravaggio, dove la luce indica la presenza di un’illuminazione divina (o, a seconda dei casi, dello Spirito Santo) e dove il “chiaro-scuro” è usato per distinguere chi è nella grazia da chi non lo è, così anche in questo corto la luce vuole essere usata con un significato simbolico e metaforico.

Il suo cammino verso la morte è anch’esso un simbolo, una metafora, per lui è un cammino verso la rinascita, la conferma della sua fede, colonna portante della sua vita. È per questo motivo che il suo volto diventa finalmente visibile soltanto nel momento del trapasso.

La scelta di dell’Abbazia di San Pietro a Tuscania come location in cui ambientare diverse scene non è motivata soltanto dalla bellezza del luogo, ma anche dal significato che essa, come le altre chiese, possedevano nell’antichità. I monaci cistercensi, infatti, avevano sviluppato una straordinaria conoscenza sul potere evocatore delle forme simbolo che venivano costruite utilizzando precisi codici geometrici, tenuti rigorosamente segreti. Queste nozioni davano vita alla c.d. scienza della “Geometria Sacra” attraverso la quale si cercava di inserire l’uomo in un sistema di ritmi e armonie affini a quelli naturali. Si riteneva infatti che, se l’uomo avesse vissuto e sperimentato correttamente gli stimoli prodotti dall’osservazione di tali simboli (di cui abbazie e cattedrali erano piene) avrebbe potuto vivere in armonia con se stesso ispirandosi e venendo ispirato di continuo dall’armonia del luogo.

Anche il linguaggio utilizzato e la musica meritano un breve commento. Sebbene tutti sappiamo che nel XIII secolo non si parlava l’italiano di oggi, assieme agli altri autori ho cercato di dare al testo un “leggero sapore di antico” utilizzando parole ormai desuete e
soprattutto ricorrendo al latino, all’epoca ancora lingua ufficiale nelle corti dei maggiori paesi europei. Spero che questa scelta, pur continuando a rendere questo prodotto fruibile da parte dello spettatore, riesca a trasmettere almeno in parte l’atmosfera che abbiamo voluto dargli.

Al pari della lingua, anche la breve colonna sonora è stata pensata come un mix tra antico e moderno, alternando tematiche e melodie moderne a quelle dei canti gregoriani di quei tempi. L’utilizzo di strumenti “etnici” molto usati a quel tempo, quali il flauto diritto e la ghironda è stato pensato per mantere vivo il senso di autenticità del corto.